Aree educative negli Istituti Penitenziari.

La USB penitenziari, scrive alla cons. Ardita

Questa Organizzazione Sindacale ritiene di dover rappresentare alla S.V. lo stato di abbandono in cui versano ancora le aree educative del paese, nonostante che la S.V. sia stato l’unico ad adoperarsi per dare disposizioni che invece ne favorissero la compiuta realizzazione.

Tuttavia l’indifferenza in cui le stesse sono state lasciate per anni, ha fatto sì che si creasse una prassi di mera burocrazia e di disattenzione alla persona ristretta, che col tempo si è consolidata, ma che va comunque smantellata per ridare dignità a questi operatori e per dare significato operativo al dettato costituzionale.

L’occasione che si è avuta, nel tempo, di visitare varie strutture e di fare assemblee con i lavoratori, ha permesso di verificare che – nonostante le disposizioni impartite – l’educatore rimane un funzionario che stenta ancora oggi ad affermarsi perché vengono ritenute prevalenti le esigenze di chiusura, che i più chiamano “sicurezza” nella logica di un’emergenza che potrebbe essere agevolmente superata o comunque serenamente affrontata, solo che lo staff dell’Istituto si incontri per fare il punto della situazione ed attivare sinergie significative. Per cui succede che troppo spesso il comandante si consenta il lusso di proporre da solo attività trattamentali nei confronti di un detenuto e che altrettanto spesso il Dirigente si limiti a disporre quanto il comandante ha segnalato, senza che vi sia un effettivo coinvolgimento dell’area educativa.

Questo accade soprattutto nei confronti di tutti i detenuti, ma si aggrava quandoi si presuppone un qualsiasi rischio suicidario. Accade che la persona venga sottoposta a “grande sorveglianza” e questa non venga mai revocata, per cui in un Istituto del Nord ( dove più alta è la carenza di organico di Polizia Penitenziaria) su 380 detenuti, ben 60 sono sottoposti a grande sorveglianza, disposta unilateralmente dal Comandante con l’avallo del Dirigente. E se poi capita che tra questi 60 detenuti vi sia chi effettivamente si suicida, allora gli educatori vengono chiamati a rispondere……

L’abbandono in cui sono lasciate le aree educative del paese da parte dei Dirigenti è pressoché generalizzato e troppo spesso i Comandanti si ergono a controllori dell’attività di questi funzionari, riducendo la stessa al solo colloquio. E’ appena il caso di rammentare che – se da una parte è vero che l’attività trattamentale deve essere funzionale alla sicurezza, dall’altra è altrettanto vero che anche la sicurezza deve essere funzionale al trattamento, per cui non può esservi – dal punto di vista funzionale – una supremazia dell’uno sull’altro. I comandanti devono fare il loro lavoro, ma devono lavorare affinchè anche le altre figure professionali facciano il proprio, nella considerazione che:

diversamente gli educatori vivono un disagio operativo sicuramente deleterio per loro, ma soprattutto non funzionale all’Istituzione in cui sono inseriti.

D’altro canto è assai raro – non riempiono le dita di una mano e questo avviene solo in presenza di Provveditori illuminati - che gli Uffici del Trattamento dei PRAP intervengano significativamente sulle dinamiche presenti negli Istituti per ricordare che funzione rieducativa e le attività trattamentali sono necessarie e funzionali al “sistema Carcere”.

Non solo: risulta a questa O.S. che, nonostante la Circolare sull’accoglienza abbia dato disposizioni sul colloquio di primo ingresso, ancora accade che in alcuni Istituti siano presenti Ordini di Servizio che affidano all’Educatore – e talvolta ad uno in particolare - il compito di incontrare tutte le persone che entrano nell’Istituto. Premesso che questo compito dovrebbe essere preceduto da un’attività di screening, in modo da non consentire che su di una sola persona ricadano le problematiche, le sofferenze, le difficoltà dell’impatto con il Carcere, va detto che in grandi Istituti, l’intervento indiscriminato sui nuovi giunti troppe volte si è ridotto ad una inutile perdita di tempo, perché molto spesso le problematiche sono tali che possono essere risolte da altri operatori professionali e non, e che l’intervento dell’Educatore va fatto quando le problematiche siano effettivamente significative.

Tutto questo comporta alla persona che effettua il colloquio un effettivo disagio che, ripetuto nel tempo, non fa altro che aumentare il senso di frustrazione e di impotenza.

Ma non è il solo colloquio di primo ingresso che non consente un sereno svolgimento del proprio lavoro: la prima grave difficoltà consiste nella costante squalificazione della loro operatività e soprattutto nella deliberata inosservanza delle superiori disposizioni impartite.

Si chiede pertanto alla S.V. un autorevole intervento.