La situazione Penitenziaria oggi, giugno 2011
In allegato il documento
La Costituzione Italiana recita: le pene devono essere improntate al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Il sistema penitenziario, pertanto, deve essere tutto rivolto a far sì che gli uomini che entrano nel carcere possano e debbano uscirne migliorati. Oggi non è purtroppo così. Dopo un primo momento di slancio rieducativo quando è stata varata la legge di riforma penitenziaria, frutto di un lungo e maturato processo culturale, essa era la concretizzazione dell’ideologia di una sentita e profonda cultura riformatrice e rispondeva alla volontà politica e sociale di dare significato alla vita della persona ristretta.
Si è tentato di fare di tutto di più, di realizzare aggiustamenti alla legge, di migliorarla anche attraverso modifiche normative. Lo slancio riformatore ha trovato correttivi ed aggiustamenti in uno sforzo corale di rinnovamento che hanno portato – alla fine – alla promulgazione della legge cosiddetta Gozzini del 1986. Oggi viviamo – nella sostanza – una progressiva regressione che non solo non tiene conto delle disposizioni penitenziarie, ma – cosa più grave – scomparsa la cultura penitenziaria, neanche del dettato costituzionale. Lo sforzo riformatore del 1975 richiedeva anche un coinvolgimento del personale di sorveglianza nell’opera rieducativa e la legge di smilitarizzazione del Corpo degli agenti di Custodia del dicembre 1990, sembrava essere –seppur tardivamente - la tappa finale di un percorso in cui il carcere sarebbe stato più umano non solo per il personale, ma anche per i detenuti.
Negli anni 90, fino ad oggi, si sono succeduti una serie di Capi del Dipartimento che non solo non erano competenti, ma che – soprattutto - hanno trovato in quel posto o un prestigioso il trampolino di lancio per i propri desiderata, o una comoda sistemazione in attesa della pensione da rimpinguare con la nota di indennità di Capo di un corpo di Polizia. Queste circostanze li hanno trovati sostanzialmente incuranti, o peggio, indifferenti alla gestione del carcere. La loro operatività si è concretizzata esclusivamente nella volontà di tacitare le organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria (le uniche che avrebbero potuto creare problemi soprattutto a loro), ed hanno tralasciato ogni effettivo sviluppo del sistema , sia sul versante della gestione del personale, sia su quello della gestione dei detenuti.
E non è un caso se il Capo del Personale, in occasione di un incontro con i Dirigenti a Trento, abbia affermato che “occorre tenere in debito conto la maggioritaria presenza di Polizia Penitenziaria su altre figure”. Come dire: si fa quello che vuole la polizia penitenziaria, quasi che la gestione del personale risponda esclusivamente ad un principio numerico, e non alle finalità dell’Istituzione. Per cui se paradossalmente la maggioranza chiedesse la pena di morte per i detenuti, questa dovrebbe essere praticata…… Analogamente il Dottor Turrini, nel corso di una contrattazione – il 10 marzo c.a. ha tenuto ad affermare – decontestualizzando la realtà delle effettive prestazioni lavorative del personale penitenziario, che oggi il Pubblico Impiego lavora poco e male, ha più garanzie del personale operante nel privato e non merita quindi di essere ascoltato, come se non sapesse che, a causa della mancanza di personale, le carenze in taluni uffici sono di oltre il 50%, e quindi vi sono situazioni in cui un dipendente lavora per due.
In particolare sono stati abbandonati se stessi tutti gli operatori appartenenti al comparto ministeri, quasi che questi non esistessero operativamente, mentre su questi ultimi gravavano e gravano tuttora una serie di incombenze – previste dalla legge di riforma – che ne facevano e ne fanno i quadri intermedi del sistema, senza i quali era ed è impossibile governare la vita del carcere. Si pensi alle professioni del trattamento, a quelle contabili, che sono ogni giorno offese nella loro intelligenza dalle scelte di una Amministrazione, che non si riconosce più –nei fatti – nel dettato costituzionale, al di là degli ipocriti enunciati che nascondono soltanto una apparentemente più semplice volontà securtaria.
Tuttavia, anche la politica di gestione della Polizia penitenziaria, negli ultimi venti anni, è stata improntata ad una sostanziale complicità nella fuga dagli istituti, mentre la mano cosiddetta ferma è stata usata nei confronti del personale del comparto Ministeri, che – a sua volta - doveva essere fortemente raccomandato per riuscire a spostarsi da sedi effettivamente difficili da vivere. Tale difficoltà era determinata sia dalla lontananza dalle famiglie, sia dal clima interno degli Istituti. Quest’ultimo è sicuramente complesso in tutto il territorio nazionale, ma diventa sopportabile quando il posto di lavoro è vicino a casa propria. L’esodo dal nord al sud è stato e continua ad essere uno dei problemi più significativi.
Tale esodo però non riguarda tutti, ma solo quanti possono fruire dei favori dei vertici dell’amministrazione, che - come già detto – sono attenti più alle pressioni politiche che alla funzionalità del sistema. Essi hanno sostanzialmente svuotato il nord del paese, ma – contemporaneamente – non hanno vigilato che al sud venissero correttamente applicate le disposizioni impartite. Tuttavia la distribuzione territoriale non è il solo problema del personale: dobbiamo anche ricordare la estrema disparità di trattamento giuridico ed economico tra il personale appartenente al Corpo di Polizia penitenzia e quello del comparto Ministeri; ma vi è di più anche il poco che spetta a questo personale viene non solo centellinato, ma soprattutto erogato con difficoltà: si pensi alla inefficienza nelle assegnazioni del FUA, alla poca cura che l’Amministrazione dimostra nel momento in cui il lavoratore va in pensione.
La situazione penitenziaria oggi è particolarmente difficile, perchè si è raggiunto un livello di degrado oramai inaccettabile, per cui vale la pena andare ad analizzare nel dettaglio le problematiche del personale.
Tali problematiche – si badi bene – non sono nuove, ma si trascinano colpevolmente da anni a causa di un sistema politico inefficiente, che sembra usare le nomine ai vertici quali moneta di scambio per i favori fatti, non per la competenza e la professionalità dimostrata.
DIRIGENTI
DIRIGENTI GENERALI: al centro sono i Responsabili delle Direzioni generali, mentre in periferia sono i proconsoli del Capo del Dipartimento. Va rilevato che le ultime scelte – nelle nomine - hanno privilegiato esclusivamente l’appartenenza politica ed i livelli di raccomandazione, piuttosto che la effettiva competenza e conoscenza del sistema. Ma oggi non ci sono garanzie per un loro efficace servizio all’Amministrazione, che li vorrebbe fautori del principio della territorializzazione della pena, non solo nella gestione dei detenuti appartenenti a quel territorio, ma soprattutto nell’inserimento del carcere nel contesto sociale, che rispetti le istanze di quel particolare contesto socio – culturale nel quale operano, rispondendo alle istanze di quest’ultimo, nella previsione concreta del reale inserimento del detenuto nella società civile. Tale incarico – vissuto più come privilegio che come servizio all’Amministrazione ed al paese, dalla maggior parte di loro viene speso come dimostrazione di potenza e proprio perché godono di reali protezioni politiche, questi si permettono di fare le bizze quanto alla loro assegnazione. Motivo questo – per il quale – solo il 20 giugno essi hanno preso servizio nella sede di destinazione, nonostante da oltre un mese fossero state definite le assegnazioni con la movimentazione sia di quelli che , in quanto Dirigenti Generali, erano già in servizio, sia degli appena nominati alla funzione. Le assegnazioni riguardavano esclusivamente i posti liberi in periferia, lasciando liberi quelli al centro, da tenere caldi per chi è “più bravo” o per chi gode di maggiori protezioni politiche?..... sicuramente non per chi è più competente. Così è accaduto che, nonostante le nomine dei nuovi dirigenti generali fossero state fatte già in dicembre, questi hanno preso servizio nelle sedi periferiche loro assegnate con estremo ritardo, perché – ahimè – è stato sbagliato il loro decreto di assegnazione. In realtà tale circostanza è difficilmente credibile, piuttosto abbiamo ragione di sospettare che l’errore sia stato voluto, posto che compiti gravosi li aspettano: è già molto tempo che alcuni PRAP sono scoperti e quindi la loro presenza sarebbe oltremodo necessaria. Ma tale circostanza è per loro irrilevante perché vorrebbero occupare posti più comodi, più soddisfacenti e più remunerativi al DAP.
DIRIGENTI PENITENZIARI: la cosiddetta Legge Meduri , nel creare la Dirigenza penitenziaria, ha dato a questi funzionari – ope legis - enormi poteri, e soprattutto li ha inseriti nel Comparto sicurezza, con gli innegabili benefici giuridici ed economici che da esso deriva. Ma da questa loro promozione non è derivato alcun beneficio all’Amministrazione. La mancanza di un contratto che solo ora, dopo ben sei anni stanno rivendicando, perché finalmente si sono accorti che la gestione degli Istituti, in assenza di Direzione stabile viene affidata – nei fatti - ai comandanti. A questo punto – questi ultimi reclamano la direzione degli stessi (ma il capo del personale non ha detto che “occorre tenere in debito conto la maggioritaria presenza della Polizia Penitenziaria?”).
L’amministrazione, pertanto non si preoccupa minimamente di questa deriva perché tutto ciò ci induce a ritenere che essa sia indirizzata, in modo neanche tanto silente, alla gestione securtaria del carcere. Probabilmente, nelle scelte dell’Amministrazione le figure professionali dei Dirigenti sono destinate a scomparire progressivamente attraverso il pensionamenti, e la Direzione degli Istituti verrà automaticamente affidata ai Commissari, con quello che ne consegue. La gestione del Dirigente avrebbe dovuto assicurare la corretta valorizzazione delle diverse aree operative in cui l’Istituto è suddiviso: il comandante è solo il responsabile dell’area della sicurezza. Quest’ultima è una componente fondamentale, così come lo è l’area della segreteria, o l’area educativa. Questa tendenza porta anche taluni comandanti a cercare la predominanza sulle altre componenti del carcere arrogandosi addirittura il diritto di controllare l’operatività degli educatori, quando non anche dei contabili. In genere la Dirigenza penitenziaria oggi cerca di “navigare a vista” incurante che le disposizioni impartite, in particolare nella gestione dei detenuti e nella progettazione di Istituto vengano effettivamente realizzate, impedendo che il Carcere diventi fucina di iniziative di reale promozione umana.
Vale per i Dirigenti penitenziari quanto è stato detto per il personale del comparto Ministeri: chi ha più raccomandazioni le usa e le usa per uscire dagli Istituti e Servizi per trovare sistemazioni non solo più comode ma anche meno stressanti, incuranti che al DAP e in taluni servizi vi sia una pletora di Dirigenti Penitenziari che potrebbero sicuramente essere utilizzati in maniera più consona ed utile al sistema complessivamente inteso, se solo venissero mandati negli Istituti. E’ appena il caso di rammentare che un Dirigente al DAP o al PRAP percepisce gli stessi emolumenti di chi dirige istituti come Poggioreale o Rebibbia Nuovo Complesso…… L’Amministrazione peraltro, non gode – nei loro confronti - di alcuna autorevolezza e soprattutto non ha alcuna contrattualità.
La conseguenza è che gli Istituti del Nord sono assolutamente sguarniti e nei confronti di quelli con un organico appena decente non viene fatto nessun controllo di merito, per cui accade che questi se ne infischino delle direttive impartite, ma anche – in taluni casi – del rispetto della legge. Troppo spesso essi usufruiscono delle connivenze di chi dovrebbe controllare il loro operato, e se per caso accade che qualcuno indaghi più a fondo e denunci le situazioni viene “punito” per aver creato troppi problemi.
DIRIGENTI DI AREA 1: sono gli unici che, per avere accesso alla Dirigenza anno dovuto sostenere un concorso. C’è però, tra di loro, qualcuno più uguale degli altri. Infatti i concorsi sono stati espletati in due tranches : per quelli che avevano i titoli e per quelli che il posto se lo sono dovuto conquistare. Nulla da eccepire per quanti hanno lavorato in periferia, ma molto da dire a quanti hanno prestato servizio al DAP, talvolta senza merito alcuno. Va detto per onestà che i Dirigenti di area 1 sono i paria della situazione.
PERSONALE DEL COMPARTO MINISTERI
Va detto preliminarmente che per questo personale era stato previsto un accorpamento a quello giudiziario, posto che la Funzione Pubblica aveva eccepito la disfunzionalità della presenza di tre uffici del personale nell’ambito dello stesso ministero. Tale accorpamento era cominciato due anni fa con il personale della Giustizia Minorile, personale che si era ribellato e che però –dopo due anni – è stato ugualmente unito a quello del DOG. Che trattamento verrà riservato anche al personale del DAP appartenente al Comparto ministeri è fuor di dubbio: sono troppi i segnali che lo fanno intravedere.
Su questo argomento questa Organizzazione Sindacale ha richiesto più volte verbalmente un incontro con il Capo del Dipartimento, Pres. Ionta, ma dalla Segreteria generale è stato risposto che era inutile perché “il Presidente non pensava che ciò sarebbe potuto avvenire” e l’incontro non ha avuto luogo.
Uno dei segnali che porta verso tali considerazioni è dato dal fatto che l’Amministrazione non pone mano, con le scuse più banali, alle piante organiche, non si impegna a rappresentare le difficoltà in cui il personale si dibatte, per espletare il compito istituzionale per il quale è stata istituita, quasi che non sia più un problema suo. Ma contemporaneamente spreme come limoni quanti sono presenti in servizio costringendoli a espletare compiti che, secondo le piante organiche previste, dovrebbero essere portati a termine dal doppio del personale, quando non dal triplo. Conseguenza di questo atteggiamento è la cronica carenza di personale di questo comparto e quindi la disfatta di ogni strategia che porti alla attuazione della legge penitenziaria, senza nessuna volontà dimostrata di far migliorare il sistema. E’ appena il caso di rammentare che la scomparsa di questo personale e, comunque il suo progressivo annullamento, sta portando verso l’azzeramento di quella cultura penitenziaria che aveva, fino a qualche anno fa, permeato il sistema e che aveva ispirato le riforme necessarie alla cultura del trattamento. La loro progressiva scomparsa porta inevitabilmente il sistema verso una rozzezza che non solo non tiene conto delle esigenze dei detenuti, ma neanche di quelle del personale, perché finchè non si capirà che il personale sta bene se i detenuti hanno di che vivere tranquillamente in carcere il problema, diversamente, sarà sempre più difficile da risolvere.
Comunque viene da pensare: se non si rispetta il personale, come si possono rispettare i detenuti?
Al di là delle precedenti considerazioni va comunque denunciato il modo di gestire il personale, che viene vessato, attraverso una serie di disposizioni oppressive, talvolta anche in barba alle disposizioni di legge, con l’intento, neanche tanto malcelato di far rimanere il famoso cerino acceso in mano al più debole. Tale è il caso dei comandanti che segnalano la necessità di interventi trattamentali sui detenuti, ma non si impegnano a realizzare un progetto di istituto, non solo degno di questo nome, ma addirittura sostituendosi ai Dirigenti: vi è taluno che addirittura annota i colloqui che l’educatore fa ed il tempo che quest’ultimo dedica ai colloqui. Per non parlare degli Assistenti Sociali, che in gravissima carenza di organico, vengono tartassati attraverso una stretta sull’orario di lavoro, e l’obbligo a incentivare il lavoro di ufficio, sempre sulle spalle delle stesse persone.
E’ appena il caso di sottolineare che per l’annuale festa del Corpo di polizia penitenziaria, da fare in periferia, è stata impartita la disposizione che un comandante del territorio deve presentare i dati relativi al Corpo parlando prima del provveditore regionale. E’ la conferma che da un carcere trattamentale si passerà ad un carcere di polizia. In realtà si vuole distruggere quella cultura penitenziaria che va da Beccaria a Gozzini, che ha trovato in magistrati illuminati, quali Tartaglione, Minervini, Amato i “traduttori” di quella ideologia riformatrice e riformista, che tanta parte ha avuto nella creazione di questo sistema, che si vuole distruggere, perché non si ha la capacità di reggere il confronto con quella cultura. Purtroppo, negli ultimi anni la politica di tutti gli schieramenti – e sicuramente oggi più che in altri momenti - non solo sta pensando di smantellare lo stato sociale e la struttura statale, dimenticando che questa è un servizio alla collettività, ma ha fatto scempio del carcere, riducendolo a mera contenzione di uomini perché ha azzerato la cultura penitenziaria che è stata alla base delle riforme, e l’ha ridotta a mero contenitore di principi avulso da qualsiasi realizzazione pratica e di sviluppo del sistema. Oggi il carcere rimane più che mai punitivo a causa non solo della carenza di offerte trattamentali, ma soprattutto - oggi più che mai - a causa del sovraffollamento. Rimane, in questo, il carcere che è disumano per tutti e che non facilita il reinserimento ma che soprattutto è occasione di guadagno per tutti quelli che lo avvicinano. E non si pensi soltanto al cosiddetto “piano carceri”, sulle cui procedure di realizzazione non è stata fatta né verrà mai fatta abbastanza luce, ma anche a tutti quanti sfruttano i detenuti per avere sovvenzioni con ricerche, pseudo ricerche, a quanti, con la scusa del lavoro da dare agli stessi usano con disinvoltura i fondi pubblici , che anziché servire per le attività dei ristretti, vengono usato come facili guadagni per i propri personali interessi.
Questa Organizzazione Sindacale ritiene pertanto prioritario il varo di una misura che riduca l’affollamento del Carcere al fine di rendere più umana la permanenza di detenuti e del personale.
Roma, 28 giugno 2011
IL COORDINAMENTO USB PENITENZIARI